Via Prova, 96 – 37047 SAN BONIFACIO (VERONA) Telefono: 045 7660619Fax: Email: mastroscultore.pinobau@yahoo.it, Sito web: www.artecatalogo.netBiografiaHa esordito negli anni 70 dapprima come pittore e successivamente dedicandosi in forma esclusiva alla scultura, plasmando l’argilla. Con le sue terrecotte ha partecipato nel corso degli anni a numerose mostre e rassegne collettive, a San Bonifacio e fuori provincia, conseguendo premi e riconoscimenti. Nel periodo più recente è approdato alla scultura sulla pietra, tufo o pietra rossa, interessandosi ai soggetti di arte sacra secondo l’ispirazione tipica della tradizione popolare della Lessinia.
Hanno scritto della sua scultura M.F.Rossi, S.Lorici, V.Meneguzzo.Presentazione criticaLa novità nell’arte di PINO BAÙ.
Ho avuto modo di osservare la gente, singole persone o gruppi, sostare raccolta davanti alle XV stazioni della Via Crucis scolpite da Baù e distese lungo il tratturo che dal piccolo Santuario romano-gotico di San Mauro delle Saline scende sulla via Cara, ed i fiori ed i ceri…; ho visto, ancora, proprio in questi giorni le sculture che Baù espone nella grande e bella Sala Consigliare di Velo Veronese; e mi è venuto spontaneo il chiedermi da dove venga la forza comunicativa della sua scultura, quella novità che la rende così pronta a caricarsi di interessi presenti.
Anche perché si tratta dei soliti cristi, delle solite madonne, dei santi delle immaginette e del vecchio libretto da Messa illustrato soprattutto per gli anziani; scolpiti poi in una pietra scabra con mazzuolo e scalpello. Eppure tanta gente vi si inchina reverente, le sceglie per ingemmare la camera nuziale, per creare nell’appartamento un angolo riservato ai ricordi, al vivere non tra gli altri ma con gli altri; spazio per la preghiera, il silenzio, spazio piccolo ma capace di trasformare gli appartamenti in case.
E sono giunto a questa conclusione: nell’arte e specialmente nell’Arte Sacra che non può prescindere dal dato oggettivo della Fede, la novità si coglie, e con essa il valore estetico, soltanto se si cambiano gli occhi.
Bisogna cioè abbandonare gli occhi dell’abitudine, della consuetudine che vedono soltanto il grigio mortificante della routine, rifuggire dalla chiarezza e distinzione dei dotti per appropriarsi degli occhi dei pueri, cioè di quanti hanno ancora la capacità di commuoversi, di meravigliarsi, di scoprire la bellezza in una stilla di rugiada, in un germoglio, nella scia argentea di una lumachina. Sono gli occhi con cui gli ingenui lapicidi della Lessinia esprimevano la loro fede. Baù ne ha perfezionato la tecnica ma lo spirito è lo stesso.
Egli è convinto che la bellezza, specie quella dell’Arte, non stia nelle cose perché è una proiezione dello spirito su di esse; anche la sacralità non promana delle immagini ma della rigenerazione che è capace di farne l’artista.
In conclusione, la novità nell’Arte di Baù non si trova nella rappresentazione di cose nuove, bensì nella rappresentazione di cose con novità. Questo convincimento non lo inclina verso un astrattismo o simbolismo narcisitici che, anzi, proprio la dovizia della carne delle sue immagini serve per sottolineare il mistero dell’Incarnazione.
Oggi noi siamo sommersi da messaggi di correnti, movimenti, scuole, indirizzi, aree; personalmente penso che il più attuale di tutti sia quello che ci proviene da Sant’Agostino: in eorum novitate innovamun è l’invito a ritornare a guardare la vita, la natura, la Fede con gli occhi con cui la vedevano gli ingenui lapicidi della Lessinia e come le vede oggi lo scultore Baù. (Ferdinando Chiaramonte)
L’essenza dell’arte Cimbrica
Gli orrori della pestilenza nell’anno 1511. Il rifugio nella Fede per mezzo della Santa Vergine ed i Santi da parte delle popolazioni montane. Questi i temi ai quali si ispiravano gli artisti dei Lessini dell’epoca, che con materiali poveri (tufo), esorcizzavano il male con raffigurazioni mistiche collocate nelle nicchie della roccia. A testimonianza di un tempo non più vicino, lo scultore Pino Baù rigenera dall’antica materia l’arte popolare della nostra Lessinia. Le sue opere, nuove ed originali, restano fedeli allo spirito degli antenati. (Ferdinando Chiaramonte)
” QUANDO LA POESIA SCOLPISCE LA PIETRA
Avvicinandosi all’opera scultorea di Pino Bnaù, ci si ritrova certamente, in una dimensione artistica dove la materia pulsa di spiritualità. I bassorilievi e le figure descritte a tuttotondo, sono ricavate da racconti biblici, evangelici, e popolari quando l’artista si misura con la scultura “cimbra”, dove le tipiche ‘colonnette’ lessiniche, sembrano aver ritrovato quella storicità che ha identificato i luoghi e aluni passaggi storici. Pino Baù, con mano sicura, toglie dalla pietra quel “soverchio” che tiene celata l’immagine. Grande caparbietà intrisa di modestia e un serio e costante lavoro, hanno permesso all’artista, di raggiungere risultati eccellenti, sempre sottolineando quella purezza di stilemi che da tanti anni definisce lo scultore sambonifacese. In ogni battuta sull’informe pietra, Pino Baù sembra filtrare le sue emozioni, che poco a poco si trasformano, per divenire immagine santoriale arricchita dai volumi creati sulle sue originali grafie. Se il fine ultimo dell’arte è quello di dar forma al pensiero, Baù nella sua estetica, ci sembra, in modo personale, aver risolto il suo compito. La numerose e qualificate mostre ed i consensi di pubblico, confermano la qualità di questo artista che ha trovato nellel proprie opere un connubio tra fede, immagine e spiritualità” (Carlo Caporal)
“PINO BAU’ – MADONNARO DEL DUEMILA
Tra la fine del Trecento e fino a tutto il Settecento, sulle orme dei più famosi lapicidi della Lessinia, sull’altopiano omonimo, tra Erbezzo e Durlo nel Vicentino, operarono sconosciuti, ma provetti scultori in pietra che, elemosinando forse un pasto più generoso e un posto a dormire al coperto, lasciarono ai posteri immagini di Madonne e di Santi protettori, che figurano tuttora qua e là lungo i muri divisori dei campi e dei pascoli, agli incroci di strade, nei pressi delle contrade, nei luoghi più isolati e insicuri. Dopo quasi due secoli, durante i quali l’arte scultorea popolare in Lessinia piombò nell’oblio più assoluto, all’ombra di tutt’altri stili e di ben altre forme, ricompaiono adesso moderni “madonari” che, intendendo riprendere le linee e gli indirizzi dei loro antichi maestri, riproducono le antiche figure sacre, care alla devozione delle genti di allora, nei più svariati materiali, non solo nel marmo, con criteri e tecniche molto spesso discutibili. Ma Pino Baù, in queste sue “madonne”, in questi suoi “santi”, nelle “colonnette”, nelle “tavolette”, così come negli altri magnifici lavori profani, in pietra, in creta, in altro materiale, va al di là della pura e semplice “traduzione”, della banale copiatura: scavalca i limiti dell’imitazione, che forse meglio soddisfa la mente dell’osservatore, non si lascia contagiare dal figurativo che gli converrebbe, perché potrebbe essere meglio compreso, approvato e forse meglio retribuito. Baù lavora ad un pezzo di marmo avendo in mente qualcosa dell’ambiente in cui si è maturato, magari anche una poesia dialettale, un ancolo rustico; scalpella il granitico rosso ammonitico pensando a una baita di montagna con le lastre aggrommate dal tempo e corrose da secoli di intemperie, ma anche calde e vive; batte la martellina con sicurezza e, nel contempo, con dolcezza sulla “pelle” dei suoi personaggi per cavarne fuori, di proposito, lo spirito che li vivifica da secoli; penetra con la sgorbia d’acciaio nelle pieghe intime del tufo con la perizia e la precisione del chirurgo, avendo un occhio per riportare nell’ “anima” del sasso l’essenzialità e la purezza delle immagini di una volta, e un altro occhio per coniugare la forza del “logos” figurativo alla freddezza materiale dell’impassibile pietra, per arrivare, in altre parole alla genuinità e semplicità della rappresentazione scultorea.
Pino Baù è sicuramente l’ “artigiano” scultore in pietra, in particolare delle immagini sacre cimbre dei nostri tempi, che meglio di tutti ha raccolto con devota umiltà il precetto degli antichi lapicidi veronesi e ha saputo travasare nelle sue creazioni il gusto primigenio e la naturalezza espressiva, con delicatezza e sincerità: spirito, fogge, freschezza e messaggi ideali, sono l’ “anima” dei suoi lavori. A ragione, quindi, l’appellativo di “Madonaro del Duemila”, (Piero Piazzola)
IL LINGUAGGIO DELL’ ARTE
L’ Arte di Baù, Alpino umile, silenzioso e sorridente
di Bruno Fasani
Forse neppure Pino Baù, di Prova di San Bonifacio (Verona) poteva immaginare quale forza comunicativa contenesse il linguaggio dell’arte. Lui, come noi, abituati a credere che il successo della vita dipenda dal percorso scolastico. A lui la scuola proprio non piaceva. Un po’ di avviamento dopo le elementari e un titolo di terza media, conseguito da privatista, ma, più che altro per mettere a posto le carte per garantirsi il lavoro.
Un lavoro che comincia da caldaista in fabbrice per nove anni. Giornate silenziose, umili, una in fila all’altra come se il tempo non avesse con sé alcuna novità. Eppure dentro l’animo di Pino c’è un patrimonio dal linguaggio forte, che domanda di venire allo0 scoperto con prepotenza. Troverà la strada per uscire attraverso le bacchette di una batteria. A lui, omino minbuto e riservato, bastano due piatti e qualche tamburo su cui scatenersi, per raccontare al mondo la sua vitalità interiore. Se ne accorgeranno al momento della maja tra gli alpini. Car a Cuneo, poi a San Candido nel battaglione Bassano. Era intimorito all’arrivo, in quello che gli avevano descritto come un inferno. Si troverà invece magnificamente. Ed è proprio a San Candido che quel giovane silenzioso viene notato per le sue capacità artistiche in campo musicale. Il salto a Bressanone nella fanfara della Tridentina è automatico.
Ma non è solo la musica a catalizzare i suoi interessi. Pennello e colori sembrano trasferire sulla tela le note emesse dalle bacchette sulla batteria. Gli mettono a disposizione una stanza e il materiale per esercitarsi, giusto per agevolare il risveglio del poeta che il ragazzo si porta dentro.
Poi, a chiusura di un capitolo intenso e gratificante, Pino ritorna a casa da congedato. La terza media gli consente un posto da bidello tuttofare. C’è la famiglia da crescere e il posto sicuro gli appare come la più importante benedizione. Oltretutto gli consente qualche ritaglio di tempo per continuare a dipingere. Che l’uomo abbia talento se ne accorge un altro pittore della zona. Il quale suggerisce al nostro artista di cambiare genere. La piazza è troppo piccola per garantire il pane a due pittori. Baù, uomo mite e versatile, prende il consiglio con la filosofia degli umili e si mette a scolpire. Inizia con la terracotta. I lavori si fanno sempre più precisi, richiesti e apprezzati. Addirittura c’è chi comincia a farne il calco e a commercializzarli a sua insaputa. Magari un altro, al suo posto, sarebbe andato a presentare denuncia. Pino Baù non ci pensa neppure. Se la terracotta si presta alle falsificazioni, lui comincerà ad usare la pietra.
La pietra morta dei Colli Berici, o pietra di Nanto, dal nome della località vicentina di provenienza. All’inizio la sua arte si ispira ai soggetti più eterogenei, nudi, cavalli, oggetti naturali…. poi l’approdo a soggetti eminentemente religiosi, tanto da essere chiamato il Madonnaro. Guarda all’arte povera della Lessinia, quella del 1600, 1700 che ha segnato le terre povere delle pre-Dolomiti. Difficile trovare un percorso logico-formale nell’arte di Pino Baù. Prevale l’aspetto intuitivo, ispirato al naturalismo e alla idealizzazione dei soggetti. Ma sarebbe davvero riduttivo affiancare Baù all’arte lessinica. In lui emerge la linearità delle forme e un minimalismo che sa quasi di trasfigurazione.
Lavora in silenzio ascoltando Radio Horeb dove si intrecciano preghiere e canto gregoriano, quasi che la sua arte dovesse trovare ispirazione da qualcosa che viene da altrove.
Ormai le sue opere figurano in tanti posti importanti, premiate da vari riconoscimenti. Ma questi non scompongono più di tanto l’alpino Baù. Umile, silenzioso, sorridente. Traspare ogni tanto l’ironia che popola il suo animo. Ma è un sorriso benevolo sulla vita, giusto per non prendersi troppo sul serio o per dire al mondo che non sono le cattedre a renderci felici.