Via delle Terme, 35
37042 CALDIERO
VERONA
Telefono: 045 7652306
Fax: 045 7652306
Email: robicinquetti@gmail.com
Sito web: www.rosabiancacinquetti.it
Biografia
Conseguito il diploma presso il Liceo Artistico, si dedica all’insegnamento.Dopo aver frequentato i corsi liberi di Pittura presso l’Accademia Cignaroli di Verona rivolge i propri interessi esclusivamente all’attività artistica. Predilige i grandi formati sui quali dipinge, con tecnica iperrealista, particolari ingranditi della realtà che le è più vicina, oggetti casalinghi, uova, tessuti drappeggiati,dettagli di paesaggio, trasformandoli in singolari allegorie del suo mondo interiore.
Dal 1982 inizia l’ attività espositiva in Italia e all’estero, cimentandosi anche con l’opera grafica. Dal 1994 cura la programmazione artistica dello Spazioarte Pisanello della Fondazione G.Toniolo di Verona. Nel 1997 è chiamata a far parte del Corpo Accademico dell’Accademia Cignaroli e dal 2001 è membro della Commissione Arte Sacra della Diocesi di Verona.
Presentazione critica
… c’è la condizione esistenziale di cui l’oggetto diventa partecipe, annullando o modificando sostanzialmente la sua trita immagine di elemento sussidiario e occasionale. Cosicché l’oggetto acquista un’anima, dei sentimenti, un linguaggio. Il problema è come coglierli ed evidenziarli. Non riuscendoci il dipinto si gela, scade a riproduzione piatta e “morta”, a fotografia; tutt’al più fotografia artistica, capace di suggestionarci, di abbagliarci, ma pur sempre prodotto tecnico, scientifico, e non opera scaturita dal genio creativo dell’uomo. Guardiamoli attentamente, con pensiero e sguardo aperti, sgombri da pregiudizi, gli oggetti sublimati sulla tela da Rosabianca Cinquetti. Sono “vivi” più di tanti paesaggi ripetitivi e “scontati”.
(J. Pierre Jouvet, 1986)
…dirò subito che la Cinquetti non fa pittura iperrealista. Infatti anche se è indubbio che la griglia del linguaggio e gli apparati grammaticali fanno buon uso di tecniche riferibili a questa tendenza, è ben vero che il bersaglio della Cinquetti è di tutt’altro genere. La pungente “illustrazione” del mondo, tipica degli iperrealisti, che intende accostare fino all’estrema tangibilità della retina una realtà che così sconfina nell’allucinazione dello sguardo, non coincide affatto con la poetica della Cinquetti. Sarebbe sufficiente osservare come gli artisti d’oltreoceano, adepti di questa corrente, raggiungano un risultato di realtà e di allucinazione cancellando dall’esperienza del mondo e dalla sua visione la categoria del tempo: sia quello empirico, sia quello segreto della coscienza.
Ecco le ragioni di quel gelo che attraversa le loro opere come una lama di coltello. Il lavoro della Cinquetti si sviluppa, invece, secondo una traiettoria assolutamente opposta. Per lei l’esperienza del mondo e la sua visione esistono solo se innestati nel tempo e nella sua memoria, e l’allucinazione deriva dalla possibilità che anche dalla nebbia dell’io riaffiori la lucidità della visione. Non vi potrebbe essere nulla di più anti-iperrealista di questa concezione della pittura.
(Giorgio Cortenova, 1989)
…sempre in cerca di ostinato rigore, è venuta infine approdando ad una sua particolare interpretazione di una pittura iperrealista ampiamente documentata e significativamente valutata in varie esposizioni pubbliche, ricevendone segnalazioni e riconoscimenti: un iperrealismo libero, non drammaticamente esistenziale (come spesso è quello americano), anzi, felicemente aperto al canto poetico dell’oggetto, al suo affettuoso riconoscimento come testimone e amico della propria casa. Qui è, dunque, il timbro di quella sensibile “vibrazione dell’intimità” nell’amore della propria casa che bene caratterizza, per interne intenzionalità tonali e affettive, una riconoscibile “pittura al femminile”.
(Dino Formaggio, 1991)
Compone le sue tele con un ripetere di gesti che sembrano da robot. Credo che anche faccia fatica, soffra, in quell’ atmosfera propria di una gestante che espelle dalla pancia una cosa che riempie di gioia. C’è fatica e ossessione nella sua arte: mai calcolo, contratto con un successo o con l’effimero. Proprio per questo le tele sono qui uno specchio della personalità dell’artista e quindi anche della sua creatività. Ed allora in questa puzza d’umano può parlare persino uno che come me si occupa del comportamento dell’uomo e non di critica dell’arte e nemmeno della sua storia. Colgo nel gesto creativo di Rosabianca quel principio della naivetè che è stato proprio di un’epoca che ha richiamato la spontaneità, ma nello stesso tempo è tecnica ritmata dalla ossessività, dal bisogno di ripetere, quasi lo stereotipo delle sicurezze. Io no so definire il bello e non so diagnosticare l’arte, ma so identificare lo spontaneo rispetto all’artificiale e un gesto umano rispetto a quello di un attore.
(Vittorino Andreoli, 1994)
Perché sempre, siano pentole, coperchi, rubinetti, frigoriferi, lavatrici…, la Cinquetti non li dipinge mai nel momento del loro utilizzo, ma, sempre e invariabilmente, quando una quiete libica li avvolge, e sono preda di un sonno che ricorda il già fatto ma non sa prevedere ancora se il fiato del mondo creato li avvolgerà. Sta in quest’aria sospesa, ai limiti dell’ineffabile e dell’eterno, il valore autentico di questa pittura. Il tenere le cose, e senza parere tutti coloro che quelle cose hanno usato, su un confine, in una zona nulla più che una convenzione, un segnale, che, tuttavia, rimanda a un’essenza. Ecco, il profumo, l’esile barbaglio, il lumeggiare serale di questa fragranza è il punto d’arrivo. Questo non dicibile che è il non rappresentabile, il procedere oltre i limiti dell’evidenza, il non voler lasciarseli sfuggire. Rosabianca Cinquetti si muove qui….
(Marco Goldin, 1994)
Le cose rappresentate nella loro riconoscibilità costituiscono la sicurezza della pittrice; dietro la quale avvertiamo l’ignoto, l’inquietudine a volte, l’enigma, come suggerisce lei stessa attraverso un titolo. Il suo sguardo è solo apparentemente lineare: in realtà vuole cogliere qualcosa che non è del tutto espresso, non è del tutto esplicitato, appare sotto le forme allegoriche delle figure che affollano la tela e danno forma all’iconografia; le figure ritornano, si ripetono. L’iterazione è la conferma del bisogno. Cinquetti non cerca mai fuori di sé: per questo trova tutto. Ma tutto diviene sapore di memoria, rinvio metafisico. Alla lindezza dell’immagine non corrisponde eguale chiarezza: Cinquetti cerca l’Altrove, vuole condurre l’immagine in quella dimensione, tra realtà e irrealtà (è questa, del resto, la via dell’iperrealismo) dove le cose sono quel che appaiono e divengono contemporaneamente frammenti di un’altra vita, simboli comprensibili, suggestioni che aprono spiragli inusitati: nella loro apparente immobilità, le stagioni sempre uguali portano allo sguardo immagini sempre diverse.
(Mauro Corradini, 2003)