Via Borgo, 31- Cellore
37031 ILLASI
VERONA
Telefono: 045 7834577
Fax:
Email: marianodalforno54@gmail.comSito web: Biografia
Mariano Dal Forno vive e lavora a Cellore d’Illasi Verona, via Borgo 31, dove è nato il 18
Agosto 1954. Diplomatosi al Liceo Artistico Boccioni di Verona, ha approfondito gli studi
laureandosi in Architettura a Venezia nel 1979. Docente di disegno e storia dell’arte ha
iniziato la sua attività artistica nel 1974; ha allestito mostre personali e collettive,
partecipando su invito a rassegne nazionali ed internazionali. Tra le più recenti la
partecipazione alla 1ª Biennale della Creatività in Italia a Verona con l’inaugurazione critica di
Vittorio Sgarbi; la Triennale di arti visive a Roma inaugurata da Achille Bonito Oliva e Daniele
Radini Tedeschi e Palazzo Fantuzzi presso la Galleria Concept Farini di Bologna con la critica
video registrata di Giorgio Grasso.
Sue notizie si trovano su Cataloghi, presso l’Archivio Storico della Biennale di Venezia
ed annuari d’arte specializzata, si segnalano:
1980 Enciclopedia del ‘900, ed. Il Quadrato
1985 Catalogo internazionale d’arte contemporanea”, ed. Alba
1988 Censimento Artisti Triveneti ’88, ed. Artetriveneta
1996 Arte Immagini Pittori e scultori del nostro tempo, Antares Vincenzo Urisini
Editore
1997 Tutto il mondo dell’arte e i suoi protagonisti, ArteNova ed.
2010 Monreale Una raccolta d’arte contemporanea italiana, Centro Diffusione Arte
Editore Presentazione critica di Paolo Levi
2011 Avanguardie artistiche, a cura di Sandro Serradifalco, Centro Diffusione Arte
Editore.
2011 Boè promotore di creatività, bimestrale di informazione artistica e culturale,
pag.183, Centro Diffusione Arte Editore
2011 Rassegna arte contemporanea Treviso, Casa dei Carraresi (Tv), Catalogo a cura
di Barbara Vincenzi e Daniel Buso
2012 Collettiva Chiesa Domenicani gruppo Soaveinarte
2012 Seconda rassegna di arte contemporanea Collettiva di artisti contemporanei, Casa dei
Carraresi (Tv) Catalogo curato da Daniel Buso
2012 Personale Chiesa dei Domenicani Soave mostra d’Arte collettiva
2012 Collettiva Galleria Il trittico Roma
2013 Premio di Pittura Aldo Tavella Città di Verona Archivio Aldo Tavella Itaca Gallery Verona
2013 Collettiva Terza Rassegna di Arte Contemporanea Casa dei Carraresi (Tv)
2013 PREMIO ALDO TAVELLA Collettiva Loggia Barbaro Verona
2014 1° BIENNALE DELLA CREATIVITA’ IN ITALIA Verona
2014 Triennale di arti visive a Roma inaugurata da Achille Bonito Oliva e Daniele Radini
Tedeschi con il quadro “Il bosone: ragione o fede”
2014 FERRARA ART FESTIVAL Premio internazionale “Il segno” Palazzo Racchetta
2014 Arte a palazzo Galleria Farini Concept Palazzo Fantuzzi presso la (Bo)
Prima Collettiva di pittura
2014 Arte a palazzo Galleria Farini Concept Seconda collettiva di arte contemporanea
indirizzi web:
www.artecatalogo.net – Arte Catalogo
www.soaveinarte.it -Soave in arte
www.bebopart.com/eaeditore
www.premioceleste.it/artista
www.ioarte.org/artisti/Mariano-Dal-Forno
www.biennaleitaliacreator.it
www.arsvalue.ilsole24ore.com
www.ad-art.it/Ad-Art-17/DalFornoM
www.esposizionetriennale.it/partecipazioni
Presentazione critica
RECENSIONI E PRESENTAZIONI CRITICHE
Ottobre 2014
Palazzo Fantuzzi presso la Galleria Farini Concept
Dott.ssa Azzurra Immediato con la supervisione di Giorgio Grasso
Scomposizione, lirismo tonale, antropomorfismo, simbolismo filosofico, natura, realtà. Sono
racchiusi in questi termini i concetti alla base dell’opera di Mariano Dal Forno, un’artista
sensibilmente riflessivo che accompagna l’osservatore in una profonda indagine alla ricerca
del reale oggettivo. (IL SONNO DI BACCO)
L’aspetto meditativo nasce con l’opera, con la lentezza del segno grafico che poi si trasforma
in pittura, e che, dunque, è già realtà e non raffigurazione di essa traslata dal medium.
Certamente, trovandosi di fronte ai quadri di Dal Forno ha un effetto straniante, perché la
scomposizione delle forme che egli porta in scena, non vira all’Informale geometrico, ma ad
una forma definita da altri “neo naturalista” che, in ogni caso,attua prospettive diverse,
variabili, che sono frutto di scomposizione e ricomposizione del dato reale.
Risulta complesso, infatti, riconoscere nell’immediato le forme umane celate in questa sorta di
puzzle antropomorfo, che avvalora, però, la ricerca della realtà, seppur scomposta. Il
simbolismo che si affida alla filosofia ermeneutica, tende allo svelamento della verità che si
distacca dall’illusione che pure sembra apparire all’inizio.
All’osservatore viene chiesto di trovare l’origine della forma, da cui scaturisce l’intera ricerca
che sul quadro si è realizzata, ed egli si trova come a indagare su una tavola ottica pseudo
cromatica, che ricorda, inoltre, il frastagliato geometrismo figurativo di
Escher.(L’ABBRACCIO)
La ricchezza della scomposizione di Dal Forno, che trova senso, in primis, nei titoli delle sue
opere, ricorda, da un punto di vista concettuale persino la pratica giapponese Kintsugi, che
tramite l’utilizzo di colatura d’oro e argento, mira a riparare e ridare forma compositiva alla
ceramica altrimenti inutilizzabile e perduta. La saldatura preziosa di frammenti crea un
complesso intreccio, irripetibile ed unico, che aggira la perfezione estetica in virtù
un’elevazione interiore. A simili modelli di misticismo simbolico, legati alle immagini della
fantasia inconscia, tende il lavoro dell’artista veronese, in cui il riconoscimento della realtà si
trasforma in un processo cognitivo di rara complessità.
Settembre 2014
Palazzo Fantuzzi presso la Galleria Farini Concept
Maria Bocina ed Alessandra Liverani con la supervisione di Giorgio Grasso
Nasce a Verona, dove vive e lavora come Docente di disegno e storia dell’arte, la sua attività
artistica si plasma sulla scomposizione e ricomposizione delle forme stilizzate, come pattern
di un unicum informe e creativo e ricco di significato.
La base delle opere è piana, larga, sagoma-materia, popolata di insiemi fluttuanti di tenue
forma cromatica. Un mantra ancestrale si compone per opera dell’artista, restituendo a chi
lo osserva il compito di individuarne la traccia originale. La realtà è presente, occorre
saperla scorgere per poi afferrarla, non ci troviamo dinanzi un’esperienza di astrattismo
geometrico, né di arte informale; il contenuto esce dalla forma e la permea donandole il suo
significato.
La tavola di Dal Forno ( UOMO NATURA SIMBIOSI DI SALVEZZA) è intrisa di inquieta
liricità, il movimento formale sottende quello concettuale, dall’iniziale astrattismo si giunge
ad un concreto neonaturalismo. Una miriade di segni frammentati organizza lo spazio della
composizione, dando vita a coreografie caleidoscopiche, quasi labirintiche, che fanno
pensare a un mosaico di definizione astratta e non solo. La raffinatezza stilistica di Dal
Forno sta nel declinare la forma nelle sue infinite possibilità, trasformandole nelle
immagini della mente.
La sua riflessione simbolica, evidente nei titoli attribuiti alle opere, completa il processo
cognitivo di riconoscimento della realtà e aggiunge il punto di coesione tra gli elementi del
fenomenico, attribuendo loro un’aura di misticismo e un trampolino di trascendentalismo.
La poetica della tradizione di Dal Forno risulta connaturata ad un linguaggio espressivo
non assimilabile a forme del modernismo astratto, ma piuttosto riconducibile al legame
con il suo ambiente d’origine, la memoria di un mondo rurale fatto di antichi segni murari,
tradizione grafico-pittorica fatta di devozione per la semplicità del mondo naturale, per
l’essenzialità della forma che contiene la vera sostanza del contenuto.
6 giugno 2014
Triennale di arti visive a Roma inaugurata da Achille Bonito Oliva e Daniele Radini
Tedeschi con il quadro (Il bosone: ragione o fede)
Rintracciare Dio in una particella e poter svelare, una volta per tutte, il mistero della
nascita del Cosmo ha fatto sì che si divulgasse di recente tale notizia, con la deniminazione
di “Particella di Dio”. La possibilità di risolvere l’arcano mistero, ha dato origine alla
formulazione di interrogativi in ordine alle due polarità che caratterizzano la nostra civiltà
e cioè la Ragione e la Fede, entità distinte o intimamente connesse? Il Bosone di Higgs è
stato per molto tempo il pezzo mancante del grande Puzzle, meglio noto come Modello
standard, nel quale è racchiuso uno degli obiettivi della scienza, cioè quello di spiegare di
cosa è fatto il mondo e come si presenta. Nell’opera di Mariano Dal Forno assistiamo ad una
pittura quasi scientifica, con rimando (nel titolo) alla tematica appena citata, nella quale lo
spettatore è coinvolto in una sfida alla percezione. Osservando l’opera da vicino si colgono
intrecci di linee, colori e forme e ,man mano che ci si allontana dal quadro, il messaggio si
fa più chiaro, si delinea il mistero di una nube gassosa che si incendiò e diventò una stella,
che determinò la nascita del sole (ben visibile con i suoi lunghi raggi). Intorno al sole si
formarono nove pianeti, tra cui la Terra (nella quale cogliamo la sua tridimensionalità). In
questo ultimo contesto prende corpo la vita (rappresentata da una figura seduta sul globo
terrestre). I colori piatti color pastello sono fondamentali per la creazione di scansioni
cromatiche, che generano una tessitura della figurazione, sino a ricavarne un significato
univoco dell’opera, in questo caso strettamente legato all’origine dell’esistenza umana.
Dott.ssa Annalisa Fanti
Serena Carlino
“EFFETTO ARTE” diretto da Paolo Levi
Palermo maggio 2013
Nell’opera di Mariano Dal Forno il mondo viene trasfigurato in un’anagramma di dettagli e
fantasie: luoghi ed esperienze che lui ha visto, sentito, amato, in una parentesi di vita dilatata
dal vento dell’emozione. L’eleganza cromatica, così come la valida disposizione scenica, sono
manifestazione di una sapienza compositiva eccellente e rara. Dal Forno, con quest’opera, ci
trasporta in luoghi esotici, rendendoci partecipi de L’INCANTO DELLA DANZA DEI DERVISCI
TURCHI: incanto ricreato attraverso la definizione di un caleidoscopio cromatico armonico e
variopinto. I colori sono come individui che vivono ciascuno nel proprio spazio, egregiamente
inseriti gli uni accanto agli altri, per creare mondi fantastici scaturiti da reminiscenze oniriche.
Francesco Butturini
San Bonifacio Verona 2012
Personale di pittura: Galleria d’arte centrale San Bonifacio
“Scombinare le forme per mantenerle nell’alveo piano, largo, solare, delle forme stesse”
Per presentare l’opera di Mariano Dal Forno, ritengo utile riprendere alcune affermazioni di Martin Heidegger in “L’origine dell’opera d’arte” (a cura di Gino Zaccaria e Ivo De Gennaro, Milano 2000, Christian Marinotti Edizioni) che trascrivo avvicinandole liberamente:
“L’artista è l’origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista” p. 3
“Se poi la sagoma, in quanto principio di plasmazione – cioè “l’informe” – all’ir-razionale, e se, a sua volta, il razionale è preso come il logico e l’irrazionale come l’alogico, e se, infine, alla diade concettuale sagoma-materia si collega anche la relazione soggetto-oggetto, allora il rappresentare dispone di una meccanica concettuale a cui nulla può resistere.” p. 25
“nell’opera, quindi, non è in gioco la riproduzione del singolo ente di volta in volta dato, quanto piuttosto la riproduzione dell’essenza generale delle res. p. 45
“Il creare-operare esige un’abilità artigianale. I grandi artisti la tengono infatti in altissima considerazione. Essi sono i primi a pretendere che se ne abbia la massima cura a partire da una sua piena padronanza; inoltre, più di chiunque altro, si preoccupano di approfondire continuamente la conoscenza delle tecniche del mestiere.” p. 93
Affermazioni a mio avviso fondamentali per accostare il lavoro di un artista che sceglie di scombinare le forme per mantenerle nell’alveo piano, largo, solare, delle forme stesse.
Sembrerebbe una contraddizione, ma non lo è, proprio ripensando a quanto di Heidegger ho appena trascritto.
Da questa prima introduzione ritengo si debba partire per analizzare una ricerca artistica che si presenta come una narrazione continua, una parable in cui i titoli sottolineano i capitoli di questa narrazione continua che sviluppa il pensiero-visione attraverso l’analisi minuta della sostanza delle forme per ricondurre la visione ad una realtà di visione più forte, vorrei dire, più pura e limpida di quella che il fenomeno apparente della prima forma potrebbe dare.
C’è come un velo da togliere, una Maja da denudare per raggiungere la profondità della realtà che viene rivissuta come sentimento originario della visione. Come impatto lungo, meditato e sempre più attento della visione e del fenomeno che la fa nascere.
Non è certamente casuale, quindi, che Dal Forno scelga la pratica della pittura à plat con le tempere e che lavori sul tavolo e non al cavalletto: ha bisogno della lentezza del segno che cerca, prima nel disegno quindi nella pittura e nella scelta dei colori, la traccia che rintracci, se accettate il gioco di parole e di azioni, la res sovrana, la cosa che è sostanza di realtà e non apparizione di realtà.
Anche questa considerazione potrebbe sembrare se non peregrina, certo un po’ cervellotica.
Non è così, perché proprio la volontà esplicita del pittore di mantenere la forma e di non scivolare “il pericolo è permanente” nell’informale, magari in un informale geometrico, proprio questa chiara e cosciente volontà mi rassicura che, dietro la ricerca e la motivazione della ricerca stessa, c’è il principio ermeneutico della ricerca della realtà, del valore della realtà, della consistenza della realtà per superare il vaniloquio, da un lato, e le parvenze illusorie dall’altro.
Non è quindi pittura facile quella di Dal Forno e nemmeno pittura consolatoria: il suo simbolo (il coccio di riconoscimento da porgere all’incontro) è l’incrociarsi e il riconoscersi delle forme ritrovate nella loro sostanza più reale, più forte. Permanente sotto il velo della prima apparizione.
Una pittura di pagina grafica – il termine l’accomuna a tanta ricerca pittorica del secolo appena trascorso (ed è inutile fare nomi che tutti individuano ed hanno sulle labbra) che rispecchia perfettamente una visione del mondo che non può essere quieta, se non quando l’inquietudine ha svolto la parte principale della ricerca nell’instancabile peregrinare del segno sulla tavola di pioppo.
Del resto, anche Salvatore Maugeri nell’ormai lontano 1983, individuava questi elementi costitutivi la ricerca di Dal Forno: “l’inquieta liricità, le trame sottili tra naturalismo e astrazione e la poetica della memoria.” E aggiungeva che si trattava di ” …una ricognizione ravvicinata, analitica di queste forme per ‘un’ipotesi’ narrativa di neonaturalismo.” Ecco sul “neonaturalismo” non posso essere d’accordo, a meno che Maugeri non si riferisse anche lui alla riscoperta della naturalità nuova di una res ritrovata nella sua essenza di mondo e non di mondità, sempre per ricordare Heidegger. Cioè, Dal Forno è pittore-filosofo, nel senso che percorre la ricerca, l’ermeneusi con la traccia del segno pittorico: nel nostro caso, parlando noi di un artista e non di un giudice che cerca la giusta interpretazione di un contratto, l’ermeneusi ri-guarda un altro contratto, quello esistenziale che lega gli uni agli altri e ci pone in braccio l’altro anche se non ce ne accorgiamo e non lo vorremmo, per ricordare un altro filosofo che sento vicino alla ricerca di Dal Forno: Emmanuel Levinas (soprattutto in “Altrimenti che essere”).
Un artista troppo intellettuale?
Chi pensa che l’artista, sia pittore, poeta, musico o attore, sia uno sprovveduto che a tempo perso inventa strade che fa percorrere agli altri e lui non conosce, si sbaglia.
L’artista, prima di tutto (per ricordare ancora Heidegger) è un artigiano che conosce il suo mestiere, gli strumenti che lo generano ed è continuamente in apprendimento apprensivo: è colto e non svagato e casuale. Ma l’artista vero, non è improvvisatore di un mestiere che, magari, gli frutta anche tanti soldini, ma del quale non resterà assolutamente nulla, passata la moda nefasta che lo ha generato, motivato, giustificato e richiesto.
Desidero concludere questa mia traccia critica, riportando quanto l’amico Dino Coltro scriveva nel 2000: di fronte a un quadro di Dal Forno “ci sentiamo sconosciuti agli altri, ma anche a noi stessi e ci affidiamo alla visione che ci viene offerta dall’artista per ripercorrere la stessa sua strada alla ricerca della bellezza che è anche ricerca della verità”.
Francesco Butturini
Verona 18/19 ottobre 2011
Paolo Levi
Monreale (Pa), 2010
Monreale, Una raccolta d’arte contemporanea italiana, a cura di Centro Diffusione Arte Editore, presentazione critica di P. Levi, Palermo, 2010, pp. 602-603.
Richiami allusivi e appena sussurrati al mondo reale animano le opere di Mariano Dal Forno.
Alberi e momenti di festa si scompongono in disegni complessi, dove una miriade di segni frammentati organizza lo spazio della composizione, dando vita a coreografie caleidoscopiche, quasi labirintiche, che fanno pensare a un mosaico di definizione astratta.
L’artista stende le tempere sulla tavola a colmare gli spazi creati da un disegno predisposto con evidenza. La scelta dei pigmenti ricade su una ristretta gamma di colori principali, con una scelta diretta soprattutto alla declinazione del blu, dei marroni, delle ocre. Una energia intrinseca sembra liberarsi da questi lavori dando vita ad una interpretazione dinamica del reale. I dipinti di Dal Forno richiedono all’osservatore uno sforzo visivo e interpretativo coinvolgente, che è anche impegno di interazione e partecipazione al sentire dell’artista.
Giorgio Trevisan
2000
2 marzo 2000, Cultura Veronese da L’Arena
La galleria dell’Amministrazione Provinciale ‘Frà Giocondo’ ospita una personale di Mariano Dal Forno, pittore veronese laureatosi architetto a Venezia e attratto dal lavoro pittorico fin dal 1974, anno della sua prima collettiva.
I suoi lavori, eseguiti prevalentemente con tecniche e tempere miste, sembrano delle architetture del pensiero tradotte mediante labirintici, geometrici segni e colori ocra, gialli e marron che non intendono far esplodere l’immagine ma semplicemente riproporla, o meglio ricostruirla, assecondando lo stile del suo meditato lavoro. ‘Sono pitture al di fuori di qualsiasi lusinga, rifiutano una assegnazione immediata e superficiale, come egli – scrive Dino Coltro – nello stendere linea e colore nel duro compensato, esclude il gesto facile, ricercando nella elaborazione delle forme, una notevole eleganza’.
In Dal Forno l’immaginario si confronta con la vacuità, egli cerca di inventare solide soluzioni di strutture piuttosto che ripetere il dèjà vu, tenta di riprodurre l’essenziale senza scivolare nella stanca ripetizione del particolare. ‘ Il tutto è sorretto da un minuzioso ordine con delle precise finalità interiori’, ma la libertà di espressione sembra trovare la propria naturale espressione anche in alcune partizioni in cui il moderato dinamismo non prospettico sembra voler generare una sorta di continua, incessante rappresentazione spazio- temporale.
Dino Coltro
2000
San Giovanni Lupatoto (Vr), marzo 2000
Dal catalogo della mostra personale (dal 26 febbraio al 10 marzo 2000): D. Coltro, La cultura materiale e artistica nelle immagini architettoniche di Mariano Dal Forno, presso la Galleria d’Arte Fra’ Giocondo, Amministrazione Provincia di Verona, 2000.
Mariano Dal Forno espone in questa mostra opere di particolare bellezza e originali, Dentro ‘una costruzione disegnatoria rigorosa, fa risaltare una tavolozza raffinata’; così si presentava Dal forno, ancora nel 1983, Gian Luigi Verzellesi e si può dire che queste caratteristiche della sua arte hanno raggiunto, in questi ultimi anni, una evidente maturità. Da alcuni anni, infatti, l’artista si è isolato, non ha partecipato a mostre o a manifestazioni, preferendo la ricerca, la riflessione, un lavoro assiduo che lo ha portato ai risultati che possiamo vedere e confrontare.
Sono pitture al di fuori di ogni qualsiasi lusinga, rifiutano una assegnazione immediata e superficiale, come egli, nello stendere linea e colore nel duro compensato, esclude il gesto facile, ricercando nella elaborazione delle forme, una notevole eleganza. Forme e dimensioni sono ricavate da una linea forte che si insinua nel colore, le rimarca e le esalta per mezzo di leggere sfumature. La linea diventa, così l’elemento di unione delle diverse immagini, apparentemente contrapposte, il filo che conduce a ritrovarle più che a separarle come tessere di un mosaico. Il disegno, infatti, scopre man mano che l’occhio ne individua il profilo, forme trasformate in immagini, in ‘quadri’ all’interno di una composizione più ampia. Segno e colore si fondono in una creazione pittorico fantastica, in cui la realtà viene scoperta lentamente, vorrei dire ‘psicologicamente’, perché l’artista la scompone nei suoi e elementi primi e la ricompone seguendo la sua ispirazione così da farla più vera. Questa raggiunta unità dipende anche dal legame spirituale che egli nutre con l’ambiente ma, più spesso, con la memoria di un mondo contadino vissuto in gioventù e mai dimenticato. Le campiture piatte, i colori della terra, le decorazioni floreali, la linea curva che con insistenza circoscrive i particolari delle sue immagini richiamano a quelle bidimensionalità che trovano origine nelle pitture murali della Lessinia.
Il tutto è sorretto da un minuzioso ordine con delle precise finalità interiori che parlano un linguaggio di codici visuali e trovano fondamento nella tradizione grafico-pittorica della nostra cultura popolare. Altro aspetto è la ritualità emergente, quasi una devozione, verso la natura che ispira visioni a volte molto complesse. Ma sono proprio queste a generare con vigore le varie parti tratte dalla semplicità della forma di un utensile, di un seme, di un animale o dal lavoro dell’uomo.
La ripetizione di soggetti-oggetti (ali, insetti, capitelli, profili di monti ecc.) fa sorgere in chi osserva una illusione decorativa, ma che si rivela, invece, una continua ricomposizione in ottiche diverse e che generano l’originalità delle opere di Dal Forno. Non può, inoltre, essere considerato un semplice gioco di forme e colore se davanti a un suo quadro sentiamo di godere una emozione profonda, che ci spinge alla ricerca di qualcosa che ci appartiene, ma che ancora non si è rivelata, nella realtà, ai nostri sensi. Ci sentiamo sconosciuti agli altri, ma anche a noi stessi e ci affidiamo alla visione che ci viene offerta dall’artista per ripercorrere la stessa sua strada alla ricerca della bellezza che è anche ricerca della verità.
Fulvio Castellani
1996
Catanzaro, aprile 1996
F. Castellani, Arte Immagini, Pittori e scultori del nostro tempo, Catanzaro, 1996, p. 77.
Una evidente ed equilibrata cultura figurativa presiede alla trasformazione artistica di questa composizione (Invocazione, tecnica mista, 60X100, 1994 ndr) che è contraddistinta da una eccellente capacità tecnica e da un intercalarsi di immagini – simbolo che vanno dalla realtà al sogno, dall’idealità alla proposta -denuncia. Il tutto collocato con perfetta scelta spazio – temporale.
Paolo Rizzi
1988
Catalogo, Arte Illustrata Italia, IV Mostra Nazionale delle Arti Figurative, Perugia, 1988, testi critici di Barone, Giovanni Cappuzzo, Lia De Venere, Gillesse Renato Lamperini, Luciano Lepri, Giulio Panzani, Ugo Piscopo, Relay, Paolo rizzi, Santino Spartà
‘Colore, tecnica e fantasia sono i parametri fissi entro i quali le mie immagini si muovono, determinate da una tecnica bidimensionale corretta nella forma e nella specificità del colore… La linea traccia sinteticamente le varie partiture legando come un filo gli elementi dell’immagine, divenendo essa stessa fondamentale… Il colore è piatto, pulito, rispetta le forme, ogni tessera rappresenta una nota cromatica che si imprime di toni ora caldi ora freddi…Sono convinto che non si debbano ignorare quelle esperienze dove l’immagine è stata scomposta, inventata, trasportata, ricostruita, distrutta, poiché tracciano la direzione di una scelta. Più diventa chiara questa scelta più si analizza, si penetra tra opposti equilibri. L’importante è non negare le altre esperienze, ma essere coerenti sapendo che più si raggiunge una chiarezza interiore e formale, più la propria ricerca sarà rafforzata. Il modo di esprimersi andrà così evolvendosi in una continua indagine avvalendosi di tutte le componenti della percezione visiva.
Non è semplice ridurre a un discorso chiaro le proprie intenzioni, ma mi è parso utile spiegare la mia pittura,’ così parla della propria pittura Mariano Dal forno. L’artista che vive e lavora a Cellore d’Illasi di Verona… di certo la pittura di Dal forno, risente del suo essere architetto, infatti la pulizia delle forme, la perfetta scansione degli spazi, la stessa precisia stesura del colore (ricorda quasi i disegni colorati da John Ruskin) denota una ‘professionalità’ attenta e allenata. Ma i suoi lavori non sono, come potrebbero forse apparire ad un primo esame delle esecuzioni formali, dei richiami o delle rivisitazioni fatte ad altri stili, ad altre, sorpassate, espressioni artistiche, ma rappresentano un gioco, certo volutamente costruttivo, in cui i colori, le forme, le linee assumono il rilievo e l’eleganza di un movimento musicale, leggero ed espressivo. Una pittura in cui il colore è la nota, la tela, il diagramma, gli intrecci di linee, curve e segmenti non sono che l’intrecciarsi di armonie, ritmi e melodie il cui timbro è dato dalla costante presenza poetica di Mariano Dal forno.
Una evidente ed equilibrata cultura figurativa presiede alla trasformazione artistica di questa composizione Invocazione che è contraddistinta da una eccellente capacità tecnica e da un intercalarsi di immagini – simbolo che vanno dalla realtà al sogno, dall’idealità alla proposta -denuncia. Il tutto collocato con perfetta scelta spazio – temporale.
Salvatore Maugeri
1987
1987, S. Maugeri, in Seconda Mostra: Arte allegorica espressionista, dal 22 al 30 ottobre 1987, ‘Abano Terme Arte’, pp. 18-19.
Il processo di individuazione e di graduale, progressivo approfondimento delle proprie qualità pittoriche e dello svolgimento della propria poetica è avvenuto, per Mariano Dal forno, per crescita costante di premesse saldamente e a lungo meditate. Il merito precipuo da riconoscergli è, a mio parere, quello di non aver creato avventure spericolate e sperimentazioni dettate più dalle intemperanze delle mode che non da un autentico bisogno di rinnovamento.
Dal Forno aveva avvertito che quanto lo interessava non era la ricerca di un aspetto sia pure inconsueto del mondo di natura quanto l’individuazione dei ritmi che imprimono un carattere a ciò che si osserva e lo eleggono a regno libero nel quale espandersi. Importante è quindi assecondare le volute, crearne e svilupparne altre che siano coordinate alle prime, senza interporre di conseguenza improvvisi arresti e provocare immotivate sincopi oppure, di converso, superflui avvolgimenti. Ne consegue che anche il colore deve risultare privo di spessori matrici. Esso si affida, infatti, alla mobilità fluida delle cadenze e dei ritmi, sì da evidenziarne gli impliciti valori, arricchendo l’opera di nuove soluzioni capaci di superare il limite dell’inizio per definirsi nella pienezza di ciò che è alla base della rivelazione.
Vera Meneguzzo
1986
Da l’Arena del 31 ottobre 1986
Alla Galleria ‘Frà Giocondo’ in piazza dei Signori, si è conclusa in questi giorni una mostra dedicata alle più recenti opere di Mariano Dal Forno. In Lui coesistono, con coerenza di intendimenti, quella rigorosa adesione alle leggi dei numeri e delle linee mutuata dagli studi di architettura e un estro artistico istintivamente portato a cogliere lo scatto del fantastico nelle cose reali. Il risultato si concretizza in opere che sembrano costruite con reperti recuperati da un mondo vegetale e animale disintegrato e poi ricomposto in armonie di colori pastellati, accostati tessera su tessera in reticolati di linee studiatamente consequenziali. Gli accostamenti di cromie, imprigionati nella trama delle curve, delle sinusoidi, delle ellissi acquistano l’enigmatica armonia di infiorescenze senza nome. L’immagine pare materializzarsi dal concatenamento di un’esplosione biologica che inventa ingranaggi arborei e ventagli piumati.
Nei sintagmi della sua scrittura pittorica, amorosa narrazione di uccelli e autunni tecnologici.
E nel rivolgersi a questi universi imprime in loro, con il ritmo grafico e coloristico, la scintilla del movimento.
La proposta di Dal Forno è un inarrestabile vagabondare alla ricerca di nuovi procedimenti per distillare le mutazioni e le permutazioni insite nella miriade di accostamenti possibili fra colore, tecnica e fantasia.
Per Lui ogni scoperta è il recupero di un valore. Qui esso si identifica con l’apporto della sua opera di artista al problema ecologico. In queste immagini scoperte, trapiantate, ricostruite, distrutte, reinventate la rinascita di una nuova magia della natura.
Sebastiano Saglimbeni
1985
Verona ottobre 1985
Dal catalogo della mostra personale (dal 9 al 23 ottobre 1986): S. Saglimbeni, Recenti proposte d’arte di Dal Fono lette da un poeta, presso la Galleria d’Arte Fra’ Giocondo, Amministrazione Provincia di Verona, 1986.
Mariano Dal Forno, in tutto l’arco del suo iter artistico, ha prediletto la costituzione della sintesi formale, nel senso più essenziale del termine.
I particolari dell’oggetto, spesso naturale, rientrano nel suo studio, in quanto gli consentono o permettono un’analisi cromatica ed un conseguente uso per la sua operazione pittorica.
Le sue ricerche si basano sulla conoscenza (che è supporto) grafica, sviluppata con segno che nel suo dinamismo si fa, poi, forma.
E’ trascorso un decennio dalle prime tesi d’arte, la quali vertevano (al contrario di tante orientate verso una trattazione agevole o fine a se stessa) su strutture geometriche piane e riecheggianti tematiche di Liberty puro. Ora ciò che Dal Forno propone per il fruitore veronese si legge come un arrivo più pieno d’atto culturale; e siamo con una ventina di ‘pezzi’ su compensato (un’esigenza, questo materiale, dell’artista, in luogo di altro tanto più in uso), i quali registrano il recupero dell’immagine dopo tanta letteratura d’arte tendente a riprendere un astrattismo spesso irrazionalistico o affidato agli effetti del caso. Qui, nei quadri che comprendono l’operazione di un quinquennio, i risultati appaiono, nei contenuti e nel linguaggio, avanzati, l’autore non rimane fuori dagli accadimenti contemporanei, tiene presente la storia che viviamo, l’era dell’industrialismo, che esprime con segni particolari, diversi, aggrovigliati e leggerissimi.
La scrittura occupa tutta l’area del mezzo, grande e normale dimensione ed ha una densità di contenuti che sono presenze botaniche, prese nelle varie stagioni, con prevalenza di quella autunnale, identificabile con pezzi meccanici, con in secondo piano costruzioni appena intravedibili, disegnate con rigorosità architettonica, più che pittorica.
Industrialismo, ben reso dai segni, e urbanesimo, come soffocato, questo, dall’inevitabile tecnologia, sono le costanti di quest’ultima scrittura pittorica di Dal Forno. Ma ciò è una lettura ad un aspetto del suo dettato d’arte, perché i testi con tinte di terre (marrone, che richiama il concetto della natura, giallo, che vuole esprimere al solarità e il grigio, che è l’ombra o l’opacità), si prestano ad una lettura complessa, dove non mancano quegli spazi di ambienti che l’artista ha interpretato con geometrismo rigoroso. Come finalizzazione del suo esercizio pittorico, v’è il tributo al problema ecologico tanto dibattuto ora che imperversa la sproporzionalità dell’evoluzione. E come conclusione di questa nostra nota: v’è la convinzione che queste recenti proposte d’arte di Dal Forno risultano piene, poiché nulla appare affidato all’operazione casuale dei segni e della materia combinati. C’è, ribadiamo, lo studio dell’immagine che viene scomposta, ‘inventata, trasportata, ricostruita, distrutta’, come afferma lo stesso artista in una sua autopresentazione di alcuni anni fa, ma per rinascere, questa immagine, come riordino di ciò che è purezza nella natura animale e vegetale.
Mariano Dal Forno
1984
Appunti sull’evoluzione della forma reinterpretata e riproposta nella sintesi di Mariano Dal Forno
In precedenti mostre ed incontri ho sottoposto la mia pittura alla valutazione critica e spontanea di esperti e giornalisti d’arte, ora mi sembra giusto porre alcune riflessioni personali. Infatti è consuetudine in queste occasioni essere commentati da un critico, ma è difficile trovare una persona che sappia giustamente mettersi in sintonia con l’artista senza scadere in un’inutile degnazione. Ritengo che la critica e la cronaca d’arte siano indispensabili per la crescita di un’ artista e me ne sono valso tutte le volte che si è instaurato un certo rapporto di studio e di fiducia, che ha portato ad una onesta valutazione, divenendo un orientamento e uno stimolo per chi ricerca informazioni riguardanti le arti.
Mi rivolgo direttamente al visitatore occasionale e all’intenditore, al critico e al gallerista che avranno l’opportunità di leggere queste mie riflessioni.
Colore, tecnica e fantasia sono i parametri fissi entro i quali le mie immagini si muovono, determinate da una tecnica bidimensionale corretta nella forma e nella specificità del colore. Con queste parole, in una precedente presentazione, ho cercato un colloquio con chi attraverso le mie rappresentazioni ne era coinvolto. Dopo quattro anni l’immagine geometrico-figurativa, ha subito una naturale evoluzione, dove la struttura grafica e cromatica è andata verso una sintesi di forme e di colore.
Gli elementi compositivi, definiti da S. Maugeri neonaturalisti, si sono lentamente trasformati verso una chiarezza di fondo. Una analisi che ha ridotto e plasmato forme geometriche e linee curve. Il risultato è stato di un maggior approfondimento dell’uso del colore nelle sue scansioni cromatiche e di una ossatura formale che circoscrive e costruisce con aspetti grafici raffigurazioni, reinterpretate dalla mia fantasia.
La linea traccia sinteticamente le varie partiture legando come un filo gli elementi dell’immagine, divenendo essa stessa fondamentale. Ne è atto il suo divenire «contorno» bianco o nero, a seconda della luce che voglio imprimere, fino al tratteggio o al punto per poi ricostituirsi e ricollegarsi in un insieme logico. Il colore è piatto, pulito, rispetta le forme, ogni tessera rappresenta una nota cromatica che si imprime di toni ora caldi ora freddi. A questi rapporti affido la realizzazione e la struttura dell’idea, che nasce da un’intuizione o ispirazione di un fatto naturale o da un evento, che riportato nella sua struttura di sintesi genera con lo studio altre forme consequenziali, spesso geometriche. Tali forme non rifiutano l’identificazione con l’ambiente-natura perché da esso traggo spunto, ma rimane solo ciò che con la mia sensibilità sono riuscito ad assorbire in modo tale da ritrasmetterle rigenerate.
Si ottiene un insieme di modulazioni, di progressioni delle forme e delle linee, frutto di osservazione e produzione di immagini. Tutto ciò mira ad una duplice integrazione linea-colore: la linea diventa colore e rimarca i soggetti, il colore si scinde nelle componenti ricoprendo le superfici. Un tentativo che porta aspetti della grafica in pittura cercando un avvicinamento che possa giovare a livello espressivo. Una ricostruzione che tende a rivalutare il messaggio visuale della forma.
Sono convinto che non si debbano ignorare quelle esperienze dove l’immagine è stata scomposta, inventata, trasportata, ricostruita, distrutta, poiché tracciano la direzione di una scelta. Più diventa chiara questa scelta più si analizza, si penetra tra opposti equilibri. L’importante è non negare le altre esperienze, ma essere coerenti sapendo che più si raggiunge una chiarezza interiore e formale, più la propria ricerca sarà rafforzata. Il modo di esprimersi andrà così evolvendosi in una continua indagine avvalendosi di tutte le componenti della percezione visiva.
Non è semplice ridurre a un discorso chiaro le proprie intenzioni, ma mi è parso utile spiegare la mia pittura.
Con il dovuto rispetto per chi lavora nel campo dell’arte, lascio giudizi, valutazioni e critiche a chi ne ha la competenza. A me non resta che promettere un impegno per uno studio che ricerchi sempre nuove espressioni.
Gian Luigi Verzellesi
1983
Da G. L. Verzellesi, Mostre a Verona: Dal Forno e Zorzi, in ‘L’Arena’, 7 marzo 1983.
Presentato da Salvatore Maugeri, Mariano Dal Forno espone alla ‘Galleria Fra’ Giocondo’ (in Piazza Dante) le sue composizioni pittoriche, nelle quali il gusto della costruzione disegnativa rigorosa si accompagna ad una tavolozza raffinata, opaca, ricca di accordi e variazioni nelle gamme predilette del giallo e dell’azzurro.
Il gusto compositivo svela di continuo una scioltezza che è il frutto d’una mano educata dall’esercizio e da certe esperienze di cultura (Dal Forno ha compiuto gli studi di architettura) e di un’inventiva rivolta a imporre alle fluide movenze del Liberty una studiata scansione ritmica, che ora (vedi La Sopravvivenza…), insiste in sottili giochi di scomposizione e aggregazione ora (vedi l’opera L’Airone ) da vita a vibranti figure a ventaglio d’una speciale nettezza emblematica.
Alessandro Mozzambani
1983
Da A. Mozzambani, Il Cartellone, in Il Mattino di Verona, 26 febbraio 1983 .
Un giovane concittadino, Mariano Dal Forno, espone alla Galleria dell’Amministrazione Provinciale, in quelle mostre premio che guardano innanzitutto, e in una giusta formula, al lavoro dei giovani a cui è difficile (o costoso) l’arrivo nelle gallerie private. Dal forno che è presentato in catalogo dal noto critico vicentino Salvatore Maugeri, offre pagine scandite e analitiche, raffinate fino all’essenza emotiva.
Il tessuto cromatico si regola fuori dagli acuti pericolosi, in un gioco specchiato di rimandi e di echi, ora della forma e ora dei pieni e dei fondi colorati. Una bravura grafica certa, dunque, e una presenza già professionale.
Salvatore Maugeri
1983
Arzignano (Vi), gennaio 1983
Dal catalogo della mostra personale (dal 23 febbraio al 9 marzo 1983): S. Maugeri, L’ipotesi narrativa di un sereno neonaturalismo nelle favole colorate di Mariano Dal Forno, presso la Galleria d’Arte Fra’ Giocondo, Amministrazione Provincia di Verona, 1983.
Non credo che a orientare la scelta linguistica del giovane pittore veronese Dal Forno sia stato il clima ‘revival’ con cui, durante gli Anni Sessanta, soprattutto nel campo del disegno di manufatti, ci si riavvicinò alle suggestioni estetiche che, un ottantennio prima, avevano determinato la nascita e poi l’affermazione dell’Art Nouveau. Non è tuttavia improbabile che egli abbia avvertito un trasporto stimolante per quello che è avvenuto in Italia dalla seconda metà degli anni Sessanta a quelli di quest’ultimo decennio, quando il ritorno di cui sopra interessò forse più profondamente l’invenzione artistica – non va dimenticata allora l’affermazione di alcuni pittori, più o meno giovani, quali Giuseppe Bartolini, Daniel Bec, Fernando Bibollet, Paolo Gioli e Gianni Longinotti, tanto per restare in terra italiana – i quali oltre che al libero arabesco floreale dell’Art Nouveau, di essa coglievano l’inquieta liricità, le trame sottili tra naturalismo e astrazione e la poetica della memoria.
In effetti nella pittura di Mariano Dal Forno si avverte qualcosa che riporta a quel clima, accentuando quella che io definirei come un’ipotesi narrativa di un neonaturalismo che si esprime attraverso la rappresentazione di una sorta di fiaba serena. Una fiaba colorata che emerge dal lungo, insistito percorso di linee, nelle quali si identificano campi assolati o comunque imbevuti di luce, andamenti collinari, presenze arboree, arabeschi floreali, sagome di animali alati, profili di case, volti umani molto semplificati ed elementi di forme geometriche.
Va da sé che meglio si ricostruiscono le fasi di questa sua ipotesi narrativa allorquando ci si sofferma a compiere una ricognizione ravvicinata, analitica di queste forme; non tanto perché più netto possa apparire il riconoscimento dei singoli soggetti delle sue affollate visioni, quanto invece perché con maggiore evidenza si giunga a riscontrare la ragione della crescita pullulante delle linee e la stesura in scansioni del colore, piatto, freddo e pulito, dettato come è dall’effusione di una pronta sensibilità cromatica di fronte allo spettacolo del mondo.
Non ci sono urti, trasalimenti, segnali, allarmi, contraddizioni in questa pittura di Mariano Dal Forno, pittura che non proviene certamente dalla favola proustiana della ricerca del perduto e cioè come esplosione di una dimensione evocativa; ma deriva da una illustrazione dell’esistente, dove la presenza emblematica delle apparenze oggettive diventa invito ad elaborare il reale, ad accoglierlo e a sentirlo come ritmo e come luce.
A ben osservare, la pittura di Mariano Dal Forno è tutta nel gioco della crescita, dello sviluppo e della proliferazione delle forme naturali, vegetali e animali, le quali non rifiutano l’identificazione con l’ambiente, né vi fanno violenza, neppure quando sembra che l’unità figurale si interrompa per l’aumentato spessore di una linea, ovvero per la sovrapposizione di più piani, oppure infine per effetto del loro improvviso cambio direzionale.
Non rifiutano l’identificazione con l’ambiente né vi fanno violenza, dicevo, anzi ne vengono accolte perché quel clima, apparentemente piatto e vagamente astratto, allude, anzi reclama una luce e un ambiente che appartengono alla fenomenologia del naturale.
Un altro carattere della pittura di Dal Forno è costituito dalla genesi del moto, che si sviluppa all’interno delle figurazioni, e della scansione del colore.
Le modulazioni e le progressioni delle linee e delle forme colorate non partono da un assoluto astratto, categoriale, ma prendono le mosse dall’osservazione e dalla riproduzione stessa di un movimento che si sviluppa ispirato direttamente da una cadenza implicita nell’elemento di natura osservato e riproposto come immagine.
Più che nella loro autonomia, l’originalità di queste immagini (vedi Presenze Autunnali, 1980) è da cercare nelle modalità impresse alle cadenze dalla linea che segna lo sviluppo e la progressione di altre modulazioni, alla quale fa riscontro la scansione cromatica, sensibile all’eleganza decorativa, intesa come riaffermazione di libertà e di una sempre nuova suggestione di fronte alle forme, alle cadenze e al cromatismo con cui continuano ad apparire le realtà di natura.