37100 VERONAVERONATelefono: Fax: Email: psalezze@gmail.comSito web: BiografiaMirko Salezze è nato a Verona il 10gennaio del 1915 e de-ceduto nel febbraio del 2004. Allievo di Angelo Zamboni alla Scuola Industriale e di Pino Casariniall’istituto d’Arte Nani frequenta saltuariamente per motivi di precoce lavoro.
Presente nell’ambiente dei pittori veronesi degli anni ‘30, frequenta Antonio Nardi, Guido e Nurdio Trentini, subisce le suggestioni dell’impressionismo francese mediate attraverso alcuni spunti coloristici di Gino Rossi oppure, per altri versi, di Farina, Pigato, Vitturi. Ammira il linguaggio pittorico di Carrà quando a Roma visita la Quadriennale. Presente nel Cenacolo Artisti Veronesi fu amico dello scultore Mario Salazzari, del poeta Quirino Sacchetti, dei pittori Aldo Franzoni, Renato Dorigatti, Aldo Tavella, Eugenio Degani, del Cen (Vincenzo Puglielli), nonché di Ivano Bissoli.
La sua proverbiale ritrosia non gli impedisce di esporre alla Terza Sindacale veronese del 1936, ai Littoriali dell’Arte a Roma del 1938, alla Triveneta in Rovigo nel 1940 e a iniziare così la sua presenza nelle mostre collettive e personali nella nostra città e provincia.
ESPOSIZIONI
1936 3^ Sindacale, Palazzo della Gran Guardia, Verona
1938 Mostra Littoriale dell’Arte, Roma
1940 Triveneta, Rovigo
1947 I giovani del Cenart (Cenacolo artisti veronesi), Galleria Scaligera, Verona
1956 52^ Biennale d’Arte, Palazzo della Gran Guardia, Verona
1957 3^Mostra d’Arte, Palazzo della Gran Guardia, Verona
1957 Società Belle Arti, Palazzo Forti, Verona
1961 55^Biennale d’Arte, Palazzo della Gran Guardia, Verona
1961 Biennale d’Arte Triveneta, Padova
1962 Collettiva Sindacale Veronese, Circolo Ufficiali Castelvecchio, Verona
1963 56^ Biennale d’Arte, Palazzo della Gran Guardia, Verona
1963 Collettiva Galleria La Cornice, Verona
1963 Collettiva Galleria Scaligera, Verona
1965 Collettiva Società Belle Arti, Verona
1965 Fiera di Luglio, Premio Poggio Rusco (2° premio), Mantova
1965 4° Concorso di Pittura, Premio Valeggio (10 premio), Verona
1972 Collettiva Galleria L’incontro, Verona
1972 Collettiva Galleria Notes, Verona
1973 Personale Galleria Notes, Verona
1973 Collettiva Galleria Novelli, Verona
1973 Incontri con l’arte in fabbrica (Fabbrica Ivano Bissoli), Verona
1974 Collettiva Galleria d’Arte, Palazzo Letteraria, Verona
1980 Collettiva Chiostro S. Bernardino, Verona
1982 Collettiva Galleria Sottoriva, Verona
1989 Personale Galleria Bramante, Vicenza
1990 Arte in Fabbrica (Fabbrica Ivano Bissoli), Verona
1993 Collettiva Società Belle Arti, Verona
1994 Personale Galleria Centrale S. Bonifacio, Verona
1996 Personale Galleria Centrale S. Bonifacio, Verona
1998 Personale Galleria Centrale S. Bonifacio, Verona
1998 Personale Sala Civica Comunale, Grezzana, Verona
1999 Arte in Fabbrica (Fabbrica Ivano Bissoli), Verona
2000 Mostra itinerante di pittura, Boscochiesanuova, Verona
2002 Personale Spazioarte Pisanello, S. Fermo, Verona
2007 Decennale Retrospettive Spazioarte Pisanello, S. Fermo, Verona
CRITICA
Hanno scritto di lui: S. Bevilacqua 1947, G.L. Verzellesi 1961 e seg., Angelo Marini 1962, Alessandro Mozzambani 1974 e seg. e più recentemente, Giorgio Trevisan, Carlo Segala, Vera Meneguzzo, Lia Franzia, Piergiorgio Ferrarese, Plinio Pancirolli.Presentazione criticaDella pittura di Mirko Salezze rimane impressa nell’anima una lunga, languida coda accesa da miriadi di impressioni luminose. Dalla “consolle” del paesaggio, il tema prediletto, risuonano le note di una sinfonia coloristica appena sussurrata ma capace di lasciare una traccia emozionale indelebile, un marchio di serenità che riconcilia con la vita.
Nato nel 191 5 a Verona e deceduto nel 2004, l’artista si allinea caparbiamente al gruppo di pittori veronesi, incurante delle sirene futuriste e dei nuovi e stravolgenti stili provenienti dall’Europa, in favore di una convinta fedeltà alle ragioni della purezza della natura. Un esito a cui Salezze non arriva casualmente, ma con un percorso di formazione all’istituto d’Arte Nani sotto la guida di Pino Casarini e attingendo alla sua sensibilità di uomo che sa vedere con occhi penetranti e sfaccettati quello che spesso sembra appartenere all ‘ovvio.
Ed ecco i caratteristici paesaggi campestri che sembrano fatti della stessa sostanza delle nuvole, o collocati dentro ad una bolla d’acqua: tinte velate, piumose, incorporee anche per i colori melanconici del grigio invernale, del giallo acerbo, del bianco cenerino. Non è estranea qualche influenza Cezanniana per certi contorni dei monti e per una tendenza alla sottrazione del superfluo. Dominante però permane la radice della luce veneta con le orlature che sembrano d’oro, con il verde brillante di una foglia bagnata di pioggia, con il viola e l’arancione unici dei tramonti. Paesaggi, paesaggi sempre diversi e sempre uguali nella loro trasognante evanescenza. Le case coloniche si ergono con i loro muri del colore dei fiori. Le chiome degli alberi creano masse vaporose, soffici come l’albume d’uovo montato a neve, sorrette da esili tronchi con i loro tendini di corteccia. I sentieri si insinuano nei campi
spartendo coltivazioni mutevoli ad ogni stagione. I papaveri nei prati invogliano ad essere colti anche se la loro freschezza dura così poco,solo fino ad incontrarne altri. Completamente assente la figura umana. Ma dietro agli scuri delle facciate, dentro le case si indovinano vite e pensieri. La tranquillità di una famiglia radunata per la cena dopo un pesante lavoro. La gioia per una nascita. L’allegria per una festa. La preoccupazione per il bilancio da far quadrare. L’apprensione per una malattia. Lo strazio per una morte. Salezze sa comunicare tutto questo per la sua rara capacità di introspezione che riesce a vedere i sentimenti anche dentro uno specchio in una stanza chiusa. Fuori, si avverte l’opera dell’uomo. I campi sono squadrati con attenta precisione, il grano sembra lisciato da un pettine gigantesco, gli ulivi fanno tintinnare i loro sonagli d’argento. Può succedere che una vigna gialla moltiplichi
le sue monete d’oro come nel collodiano “Campo dei miracoli”, o che una casa rossa si metta a raccontare dalle sue bocche-finestre fiabe di gromi e di folletti, di fate e di anguane. Anche questa è la magia di Salezze. Far immaginare il fantastico nelle normali cose reali. La Valpolicella, la Valpantena, Erbezzo, Marcellise, Mambrotta, Negrar, la Lessinia, VaIsquaranto sono i luoghi familiari da cui trarre uno spazio pittorico fatto di ampie campiture, di tratti rapidi, di cromie lievi, di raffinate sfumature tonali che riconducono a quella realtà concreta capace di sconfinare nel sogno. L’artista pone la sua attenzione anche nei luoghi d’acqua. L’Adige, il lago di Garda, i fossi, i piccoli canali di irrigazione riassumono una placidità connaturata.
Abilissimo in ogni tecnica, Salezze tratta con uguale disinvoltura il colore ad olio, l’acquerello, la sanguigna, il carboncino, la matita. Si dedica anche al restauro e alla decorazione. Personalissimo il suo procedere per le opere ad olio che crea “en plein air”, come appunti, su tavolette di modeste dimensioni e che poi completa in studio o trasferisce su tela precedentemente preparata con un fondo fatto di colla di coniglio, gesso e cementite. Numerose e di successo le mostre collettive e personali. Fra cui, la mostra sociale della Società Belle Arti, la 55^ Biennale d’Arte al Palazzo della Gran Guardia, il Premio Valeggio di cui Salezze fu vincitore, il Premio Poggio Rusco, la mostra alla galleria “Notes”, e alla “Novelli”, ” ” Incontri d’arte in fabbrica”, al Chiostro di San Bernardino, alla galleria “Bramante” di Vicenza, alla galleria del Teatro Centrale di San Bonifacio, alla sala civica del Comune
di Grezzana, allo Spazioarte Pisanello.
Suoi compagni di strada furono artisti come Moreno Zoppi, Renato Dorigatti, Pierluigi Rampinelli, Luciano Albertini, Francesco Arduini, Eros Bonamini, Eugenio Degani, Ottavio Giacomazzi, Silvano Girardello, Alice Pavanato, Ebe Poli, Matilde Sartorari, Aldo Tavella e molti altri. Ma da loro si distingue per una grazia traboccante di abbandono, quasi che il paesaggio stesso lo cullasse trasferendo la sua pittura, con il passare degli anni, da una esecuzione aspra e materica ad uno svaporare, a diventare aria pigmentata di infinito. Vera Meneguzzo (2012)
Mostra di Mirko Salezze- Galleria Teatro Centrale di San Bonifacio (1998)
Mirko Salezze si ripropone all’ attenzione del pubblico con una mostra personale di lavori eseguiti in questi ultimi anni. Conosciuto nell’ ambiente veronese per la sua presenza artistica fin dagli anni 30, l’ ottuagenario pittore si presenta sicuramente come significativo testimone di Moreno Zoppi. Salezze fu allievo di Pino Casarini all’ Istituto Napoleone Nani e di Angelo
Zamboni alla Scuola Industriale nei corsi di integrazione al lavoro. Conobbe e frequentò Antonio Nardi, Guido e Nurdio Trentini e nel suo fare arte si ispirò alla tradizione chiarista veneta con particolare riferimento alla scuola veronese di paesaggio con interpreti Farina, Pigato e Vitturi. Sul filo interpretativo di questa tradizione le opere di Salezze paiono tratte dal
magazzino di una vecchia soffitta, ove furono un tempo riposte, come in un cassetto si ripongono vecchie foto e antiche lettere od altri oggetti e ricordi più cari.
L’ occasione di dare in mostra queste opere, invece recenti, assume allora i connotati di un amarcord carico di sentimenti. Da una prima carrellata generale delle opere esposte in mostra rimaniamo favorevolmente sorpresi da una atmosfera di serenità, ove lo sguardo spazia in ambienti riconosciuti familiari, filtrati da una luce soffusa che mai lascia intravvedere
contrapposizioni tonali forti. La tavolozza di Salezze infatti, improntata sui colori caldi, è tutta giocata sull’ equilibrio tra mezzi toni, senza alcuna accensione, e pure i contrasti tra luci ed ombre appaiono velati, come per un socchiudere degli occhi in una giornata di pieno sole. Così i bianchi trasmutano in carnacino grazie ad una punta di terra di pozzuoli, mentre i
bruni si sgranano sulla trama della tela. Nella scelta del soggetto, Mirko Salezze privilegia scorci di paesaggio con vecchie case e vedute d’ insieme, da angolature diverse, di vecchie corti ove si affacciano palazzi d’ un tempo, caseggiati e barchesse con stalle e fienili successivamente adattate ad abitazioni per le famiglie rurali. Questi soggetti di ispirazione primaria per l’ artista, assumono una valenza antropologica nel momento in cui alla lettura emergono inconsciamente nostalgie legate ai valori propri della vita della corte, caratterizzata da quel sistema di relazioni personali che oggi è andato perduto nelle città e nei nuovi palazzi condominiali. Le facciate delle case, nel taglio prospettico si presentano ricche di tutta la
loro storia: vi si possono immaginare gli intonaci aggiustati o rifatti, vi si vedono le tinte slavate, spesse e sovrapposte negli anni. Nelle corti di Salezze però non c’è più nessuno, o forse qualcuno abita ancora queste case: qualche imposta figura aperta. Anche le strade dinanzi ed i cortili sono deserti, non c’è un segno che lasci intendere la presenza di qualcuno.
Ci sono sì delle piante: spesso un albero in primo piano, spoglio e con i rami stecchiti slanciati oltre i tetti: per esigenze di equilibrio della composizione, mi interrompe Salezze. In altri soggetti, tuttavia, il pittore celebra la natura nella sua variegata vegetazione, spaziando da vedute collinari, a volo d’ uccello, su campagne coltivate, sempre a raccontare la presenza dell’ uomo con le sue modificazioni. Il pittore si fa interprete di questa presenza e dalla sua posizione privilegiata distribuisce, centellinandoli con saggezza, segni e colori sulla tela, per
ricreare quelle armonie spesso oltraggiate dalla manomissione dell’uomo.
Piergiorgio Ferrarese (1998)
“Le poetiche cromie di Mirko Salezze”
Accompagnato da un ricco catalogo a firma di Vera Meneguzzo, si è recentemente inaugurata presso la Sala Birolli (via Filippini, ex Macello) la personale del maestro Mirko Salezze, un doverso omaggio alla memoria di uno dei più rappresentativi paesaggisti veronesi, la mostra è voluta anche dai figli del pittore.
Nelle sue opere, dove le terre e le cromie pastello sembrano danzare solari rappresentazioni, si respirano quei silenti racconti suggeriti dai suoi tagli pittorici. Nei morbidi alberi i colori ricamano armoniosi passaggi, sposando quelle tipiche architetture tanto care al maestro Salezze. Le tinte di Burano o le colline lessiniche, amate dall’artista, divengono spartiti di rappresentazioni visive che solo la poesia del colore è in grado di cogliere.
La lunga carriera dell’artista lo vede protagonista in decine di personali i cui risultati hanno sempre premiato la costanza di un serio professionista dall’inconfondibile calligrafia pittorica. Il pittore era sempre disponibile e la sua modestia e simpatia è diventata negli anni proverbiale, riempiendo ancora una volta la pagina irripetibile in quel libro d’arte di cui Mirko Salezze ne ha certamente scritto un capitolo.
La mostra spegnerà le luci il 20 maggio. (Carlo Caporal)