Via Scortegagna, 14
36015 SCHIO
VICENZA
Telefono: 0445 527228
Fax:
Email: lucio.scortegagna@virgilio.it
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Biografia
Lucio Scortegagna è nato il 29 febbraio 1948 a Monte Magrè, Schio (Vicenza), ove ha studio di pittura e scultura. Abita a Schio.
Ha svolto gli studi umanistici a Schio con i professori Luciano Marigo e Ada Zanolo e gli studi artistici a Venezia presso il Liceo Artistico e l’Accademia delle Belle Arti. Frequenta i maestri del panorama artistico veneziano degli anni 1970/80 tra i quali:
Alberto Viani, Giuseppe Santommaso, Virgilio Guidi, Bruno Saetti, Carmelo Zotti, Benito Tiozzo, Giorgio Zennaro.
Dipinge dal 1963 ed espone dal 1966. Dal 1977 svolge l’attività di scultore non tralasciando mai la pittura, che riprende i temi del rapporto forma – spazio. Come incisore, nei primi anni ‘70, ha partecipato ai corsi tenuti alla Scuola Internazionale di Grafica a Venezia approfondendone i contenuti e la tecnica con i maestri Pio Penzo e Ada Zanolo.
Per trent’anni è stato docente di discipline plastiche nei licei artistici “U. Boccioni”di Valdagno e “A. Martini”di Schio. Ha organizzato e tenuto corsi di scultura.
Di rilievo, per la sua formazione artistico-culturale, sono stati i frequenti incontri con Pierre Restany (1989-2002), a Milano, a Malo – Museo Casa Bianca, a Venezia, a Padova e Parigi.
Dal 1989 collabora e partecipa all’attività artistico-culturale della “Fondazione D’Ars Oscar Signorini” Onlus di Milano.
Presentazione critica
Con nitida energia, Scortegagna lavora da sempre le sue figure, in bilico tra la densa corposità dei volumi e la morbida sensualità del gesto, occupando lo spazio con la suggestione di questa sua permanente, assorta, fervida dialettica sospesa. Ecco: dialettica, vale a dire confronto, frizione, conflitto e composizione, scontro e conciliazione tra opposti elementi tra pulsioni e motivi diversi che incontrandosi danno vita a qualcosa di nuovo; spostando in avanti il risultato, promuovono una differente sensibilità dell’ immagine, che da ciò viene a crescere di senso e di suggestioni. Proprio la dialettica tra forme – tra i sentimenti che esse si portano dentro come una seconda pelle, come una patina di emozioni e di evocazioni – è dunque la vera chiave della creatività e delle fascinazioni liriche del suo lavoro …. (Giorgio Seveso, Milano – 2007)
… Ma ritornando a quel mio primo esplorare l’atelier, il magico soppalco, le altre stanze piene di memoria in una casa labirintica, tramandata da generazioni di antenati che porta il loro nome. Fin da subito, ricordo, mi è stato chiaro un personale motivo di vicinanza simpatetica con le opere e, per loro tramite, con l’artista. La presenza, in ognuna, di un tondo elegiaco controllato, asciugantesi al caso in asperità concettuali. Quell’aria di famiglia, quell’apparente trasfigurazione di alcuni aspetti della mia stessa poetica verbale! Oggi l’elegia è per lo più lasciata ai debuttanti, agli attardati. I poeti cattedratici, come molti artisti ‘à la page’, la evitano come la lebbra.
La raccatta il cinema ogni tanto, scambiandola per sentimentalismo. E invece no. Anche l’opera di Lucio me lo confermava non è sentimentalismo, l’elegia, ma l’ombra chiara della vita vissuta – partecipato distacco all’esserci – premessa e componente imprescindibile di ogni umana conoscenza … (Roberto Nassi, Vicenza – 2007)
Scortegagna è scultore autentico, non semplicemente per come sa manipolare i materiali e modulare forme originali, che scaturiscono dal suo mondo interiore e lo coniugano con materia, spazio intemo ed esterno, colore, ma anche – e direi soprattutto – per come egli sente li rapporto tra materia e forma, come continuità armonica nello spazio visivo, misura, proporzione, e insieme significato o, meglio significati, polisensi; e per come, inoltre, egli sa variare quantitativamente e qualitativamente l’attenzione del suo sguardo sull’andamento dei volumi; cioè sui movimenti della luce che carezza le superfici sensuali, tondeggianti, o resta inghiottita, slittando su repentine superfici tronche, su tagli che mutano completamente l’evento plastico da ‘frammento anatomico’, da risonanza plastica luminosa del corpo a veduta, paesaggio, modulazione sensitiva del rapporto con lo spazio ambiente, con le linee spesso tenere, morbide della skyline delle colline e dei monti che fin dalla nascita ha negli occhi con tutte le loro molteplici infinite variazioni cromatiche, atmosferiche, stagionali e di punti di tangenza visiva …… (Giorgio Segato, Padova -2008)
Il giardino delle femmine e altre storie …
di Manuela Gandini
In un punto della terra, lontano dalle metropoli, in un declivio immerso nel silenzio, prendono corpo organismi artificiali, oggetti puntuti e curvilinei, sensuali e minacciosi, antropomorfi e architettonici. Corpi estranei all’isteria collettiva che nascono in una sorta di bottega rinascimentale dalle mani di Lucio Scortegagna a Monte Magrè, Schio.
Il lavoro dell’artista veneto comincia, negli anni Sessanta, in una sospensione temporale acuita dal silenzio del luogo, con sperimentazioni realizzate attraverso i nuovi materiali industriali: smalti, catrame, oli, plastiche, colle.
Dall’osservazione della natura, nascono le sue prime opere astratte, polimateriche, che si proiettano verso futuri possibili, evocando le ferite di Alberto Burri ma anche la progettualità di Mondrian. I campi arati o i cieli sopra il Monte Magrè, s’intuiscono appena osservando le venature del legno e le chiazze della pittura scrostata.
Scortegagna – che per oltre trent’anni insegnerà materie plastiche al Liceo Artistico di Valdagno e Schio – racconta che il suo primo ricordo d’infanzia è legato a degli acquarelli fatti dalla zia, appesi nel tinello della madre. “Mi chiedevo come avesse fatto.”, dice, “Alle volte ci sono cose apparentemente insignificanti che poi nella vita hanno un’influenza determinante. Erano piccoli paesaggi color terra”.
La terra, il grigio cemento, la luminosità bronzea, i metalli, sono i cromatismi neutri che caratterizzano la scultura dinamica di Scortegagna. L’artista, solista della materia, crea corpi sodi, tattili e accoglienti, spesso in posizione fetale o raccolta. Ma i nudi femminili non sono mai interi, sono tagliati, drasticamente finiti. L’amputazione degli arti non produce però una pietas neo-espressionista, non gronda sangue, colore e passione, è fredda e geometrica. “La cesura”, afferma l’artista, “viene per liberarmi dal vincolo del naturale e del figurativo. Mi dà la possibilità di dialogare, di rompere con quello che diceva Arturo Martini, la scultura lingua morta perché vincolante”.
Con una precisione chirurgica, Scortegagna instaura un anomalo rapporto tra la carnalità e la materia inerte, la quale si sviluppa da un lato verso forme architettoniche, dall’altro verso forme anatomiche. Vi è una naturalità data dalla fisicità organica e una geometria prodotta dall’artificialità del mondo progettato. E’ un connubio necessario, è l’unione tra l’umano e il cemento metropolitano, tra carne e tecnologia, sensualità e matematica. Sembra di vedere creature fantascientifiche e classiche al contempo, programmate per diventare macchina.
C’è, nel lavoro di Scortegagna, l’evocazione di un periodo dell’oro, l’idea di moderno in quanto complessità e proiezione futura: ragione critica, progresso, emancipazione universale. Se, per il filosofo tedesco Jurgen Habermas, il moderno non è un progetto fallito o finito, bensì incompiuto; incompiuta è anche la scultura di Scortegagna. L’artista si sente infatti alieno alla virtualità contemporanea postmoderna, orfano di un pensiero illuminista. Le sue forme acuminate, tronche, assottigliate e levigate, evocano – a seconda del punto di vista – progetti di edifici della prima metà del Novecento; forme disseminate sul territorio dove l’avanguardia dava una linea progettuale a ciò che si è poi volgarmente trasformato in edilizia. Accanto ai suoi pezzi scultorei, sembra a volte di percepire scorci di facciate futuribili, forme aerodinamiche, oggetti alla Star Trek, anche se si tratta sempre di sembianze umane.
“Mi sono ripetutamente posto il dilemma del rapporto tra l’architettura e la scultura. Qual è la problematica? Viene prima l’una o l’altra?”. Ovviamente l’architettura è legata all’utilitas ed è vincolata a medium specifici, mentre pittura e scultura hanno un’indiscriminata libertà di scelta.
Nel salotto buono di un appartamento borghese, la scultura di Scortegagna dichiara l’impossibilità di concepire forme chiuse, decorative, fini a se stesse. Suggerisce un punto di vista ambivalente e ambiguo, una visione prismatica e complessa.
L’opera non si limita alla materia ma, a seconda dell’atmosfera, crea lunghe ombre puntute o cascate di luce sulle superfici oblique e lucide. Il corpo femminile -quello prediletto dall’artista – diventa un elemento che continua il suo percorso nello spazio. In relazione alla luce e alle ombre crea, nell’invisibile, giochi estesi al contesto.
“Le mie opere”, afferma l’artista, “nascono da uno sviluppo della forma, sono consequenziali le une alle altre e vengono fatte contemporaneamente. Non le considero mai finite. Alcune sono cesure”. L’artista ama toccarle, girarle, modificarle, mostrare le altre facce del “corpo”, poroso o translucido, poggiato su una base gravitante.
Ma oltre alla ricerca della forma, Scortegagna mette in scena il dramma umano con le sue passioni, finzioni, ambizioni e con il suo inalienabile dolore. A uno sguardo più profondo, la bellezza del corpo levigato e sensuale, accennata dall’artista, cela in sé la sofferenza della malattia e dell’impermanenza, della fine e della separazione. Come un’ossessione, i suoi corpi sono troncati ma compiuti, gli arti vengono separati e allontanati gli uni dagli altri. Le zolle riverse, sono zolle di umanità rovesciate, in una terra di separazione e individualità
estrema. “L’isolamento regna ovunque, e soprattutto nel nostro secolo (…)” , scrive Feodor Dostoevskij ne I fratelli Karamàzov, “Adesso infatti ognuno vuole separare la sua persona il più possibile, e provare in se stesso la massima pienezza di vita, e invece di questa pienezza di vita il risultato di tutti i suoi sforzi è un completo suicidio, poiché invece della pienezza nell’affermazione del proprio essere si raggiunge il perfetto isolamento. E infatti tutti nel nostro secolo si sono separati come tante unità; ognuno si isola nella sua tana, si allontana dagli altri, nascondendosi e nascondendo quello che ha. (…) Dovunque oggi l’intelletto umano non riesce più a capire che la vera garanzia della personalità non sta nei suoi isolati sforzi individuali, ma nell’unità generale degli uomini”.
L’attualità delle parole dello scrittore russo – che a sua volta ha navigato nella palude del gioco d’azzardo, che ha presentito il sangue della rivoluzione e intuito i pericoli della parcellizzazione del sapere scientifico e della de-sacralizzazione della vita – sono perfettamente aderenti alle forme di Scortegagna. Si tratta di una separazione globale, della frammentazione di un’unità apparentemente irricomponibile, di cesure e strappi preconizzati da Fontana e Burri, in altro luogo e in altro tempo. Le opere dell’artista veneto creano lo spunto per meditazioni drammaticamente attuali sulla bioetica e sull’ingegneria genetica, sulla creazione di confini tra individui, etnie e stati. Analizzarle è come tirare le somme. L’opera sintetizza l’aria che si respira in questi primi anni Duemila, e crea una sorta di freno alle immagini virtuali, televisive, mediatiche. E’ un rifugio nella materia laica con un forte ascendente spirituale. Nella scultura di Scortegagna non ci sono giudizi, statements, denunce. E’ un lavoro sobrio, fatto di centinaia di corpi che creano un’intera popolazione, un insieme di entità dinamiche e plastiche, delle quali appare più che l’aspetto erotico sensuale, la ricerca di armonie inafferrabili ma potenzialmente ricomponibili nella continuità dello spazio invisibile.
Novembre 2010